I “Tempi moderni” della ristorazione

La ristorazione è un mercato differenziato, ma nella gestione di un’attività ristorativa l’eccessiva polivalenza paga? A parer mio, che nella ristorazione lavoro da più di trent’anni, diventa troppo impegnativa la ricerca dell’eccessiva poliedricità, ovvero il ristoratore che propone tutto nel suo locale e che sceglie di offrire più prodotti per cercare di attirare più target possibili. Prendendo in prestito un termine dall’informatica, potremmo chiamarlo ristoratore multitasking.

Si potrebbe pensare che un’attività polivalente sia più valorizzante, più umana perché meno monotona e robotizzata. Ma la ristorazione è artigianalità o automatizzazione? Un laboratorio o una fabbrica?

Da un lato esiste la ristorazione veloce che ricicla il dispositivo tradizionale del lavoro nella catena di montaggio. Per analogia, la mente corre subito al modello fast food: un’organizzazione produttiva e di replicazione del prodotto rigida, la meccanizzazione del processo produttivo e la standardizzazione del prodotto servito. Si prescinde dalle capacità e attitudini professionali dell’operatore, dalle competenze del singolo applicando alcuni parametri relativi alla filosofia ONE BEST WAY propria del Taylorismo.
Prima di ogni altra cosa si predilige l’efficienza, in quanto ogni azione produttiva è rigidamente inquadrata in format ben definiti affinché sia eseguita in un determinato tempo e modo più rapidamente possibile. Si pone attenzione alla quantificabilità, in quanto nello sviluppo del format si pone un focus particolare alla velocità del processo, ossia la massima quantità possibile di prodotto in un dato tempo; un prodotto che è prevedibile e articolato spesso in menù tematici al fine di veicolare la scelta dell’utenza e gestirla in tempi brevi. Infine un controllo attuato su tutto il processo produttivo.
Ci si avvale di operatori multi-funzione, fatta eccezione per i controller. Il ciclo produttivo realizzato in questo modello rappresenta un esempio importante di incremento della produttività grazie alla scomposizione delle operazioni in compiti semplici e riproducibili. Il personale è formato per il ruolo che gli compete, una sola attività ed è necessariamente molto più produttivo, riesce infatti ad eseguire fedelmente le istruzioni di protocolli di produzione ottenendo una produzione di massa di articoli standardizzati.

Nel modello di ristorazione fast-food, dunque, il mantra è massima quantità di prodotto nel minor tempo possibile. Ciò viene realizzato attraverso menù ripetitivi e operazioni codificate. Qui è evidente l’importanza della formazione, che permette all’operatore di seguire uno standard creato attraverso un progetto di produzione. Tornando alla normale ristorazione. Questo è un ambito diverso, non è una fabbrica, non basta schiacciare un bottone e far partire gli ingranaggi.

Tuttavia, se in passato la ristorazione tradizionale prevedeva approcci dal carattere un po’ più artigianale, ora occorre applicare anche al settore F&B i parametri di investimento utilizzati negli altri settori economici: organizzazione e razionalizzazione. Essi sono due fattori determinanti nel ridurre al minimo l’incidenza delle variabili e a limitare l’improvvisazione ai caso di reale necessità.

Tornando al quesito iniziale: quale soluzione? Credo fermamente che sia meglio settorializzare la propria proposta, specializzarsi in un settore dell’offerta ristorativa, scegliere un filone, una corrente, una nicchia.
Il mio consiglio è quello di scoprire il punto di forza del proprio locale e valorizzarlo partendo da un’analisi delle esigenze del target di clientela e, da lì, settorializzare l’offerta. Non è possibile eccellere in ogni settore, è necessario specializzarsi in un particolare ambito nel quale diventare esperti e veramente competitivi. Attenzione a non trascurare i dettagli: il cliente non è passivo, ma sceglie.

I menù à la carte sono, nella maggior parte dei casi, sovradimensionati rispetto alle risorse umane, alla tecnologia e alla struttura. Valutiamo l’ingresso della tecnologia nel mondo della ristorazione. Ben venga l’aiuto di strumenti tecnologici, una digitalizzazione che ha lo scopo di agevolare il servizio senza però perdere il rapporto personale con il cliente. Tuttavia, le tecnologie in cucina non risolvono da sole i problemi. L’attrezzatura, anche quella più tecnologica, necessita di personale qualificato. Dove non c’è tecnologia, organizzazione e professionalità, le sorti dell’attività sono inesorabilmente affidate alla buona volontà del singolo. Nella ristorazione ordinaria, tuttavia, cibo ed servizio non sempre si possono automatizzare.

Qual è l’errore che si nasconde dietro l’angolo? Pensare che un singolo aspetto possa essere predominante sugli altri e che sia a sé stante. La ristorazione va considerata nella sua globalità. Tutto ha la sua importanza e nulla deve essere lasciato al caso. E’ un ingranaggio ragionato, complesso e composto da altri ingranaggi non visibili a prima vista e che funzionano in sequenza. Tutto come gli ingranaggi di Charlie Chaplin del film “Tempi moderni”.
Considerando che il ciclo produttivo del ristorante sia un ciclo anomalo, in quanto il tempo della produzione antecedente il servizio è molto risicato, credo sia importante gestire i tempi di servizio e meccanizzare ciò che è possibile per avere più tempo per la cura del dettaglio finale. Se il dettaglio è pianificato e il personale è formato, si ottiene un prodotto costante, se il dettaglio non è pianificato si ottiene altalenanza di risultati e non costanza delle prestazioni, le quali hanno effetti negativi sul business.

Il rischio che si corre è che l’imprenditore intervenga personalmente in tutte le attività del ristorante senza averne conoscenza precisa e rischiando di farsi travolgere dagli eventi, finendo metaforicamente risucchiato dagli ingranaggi che prendono il sopravvento come accade nel film a Charlie Chaplin. Parole d’ordine: formazione e settorializzazione.